giovedì 9 febbraio 2012

10 febbraio - Il giorno del ricordo

Foibe e profughi minori. La vergogna che fatico a perdonare 



Non ero sicuro di voler scrivere su questo argomento. Non lo sono nemmeno ora che lo sto facendo. Né lo sarò quando, nella mostruosa lingua della rete, “posterò” questo pezzo. “Pezzo” è invece una parola della lingua da giornale di carta, tra poco obsoleto quanto l’aoristo greco. Ma io resisto.

Dicevo, non sono sicuro sia giusto occuparmi di questo tema perché è personale e non ho fatto questo blog per farne la piattaforma di un cicaleccio privato.

Sono figlio di una profuga giuliano dalmata. Mia madre Giuliana Langendorff era nata a Fiume 77 anni fa ed era una patriota italiana. Il nome potrebbe far credere il contrario. Mio nonno Ludovico era austriaco, aveva combattuto la Prima guerra mondiale nella marina imperiale e quando il suo mondo crollò, decise di rimanere in Istria. Mia nonna Nives era croata ma detestava le due più importanti fazioni della sua etnia: i fascisti di Ante Pavelic e i comunisti di Tito.
 
Per libera scelta decisero di diventare italiani – un anno dopo aver tolto la divisa asburgica il nonno già partecipava all’impresa dannunziana di Fiume – e di far crescere i loro figli da italiani. Progressivamente, in casa si smise di parlare tedesco e si assunse il dialetto fiumano, simile al triestino. E’ stata una lingua della mia infanzia, quella delle mie vigilie di Natale che il nonno organizzava con un misto di fiaba austriaca e magia felliniana. Mia madre ha continuato fino all’ultimo a parlare il dialetto con le sorelle. Se sento dire “me son iozà la cotola”, capisco. I speak the language.
 
La famiglia di mia madre  non visse direttamente la tragedia dell’esilio improvviso, delle persecuzioni e delle foibe.
Durante la guerra il nonno si era trasferito a Milano per lavoro. Ma persero la casa e tutto quel che avevano. Il loro piccolo appartamento di via Macedonio Melloni fu il primo rifugio per decine di parenti e conoscenti cacciati da Fiume. Almeno quelli che non erano finti nelle foibe e dei quali non si ebbe traccia per anni e anni.
 
Non sfuggirono tuttavia all’umiliazione e all’oblio ai quali l’Italia condannò i suoi stessi profughi. Nel dopoguerra gli ebrei hanno dovuto lottare contro il tentativo di rimozione dell’Olocausto. I giuliano dalmati anche contro l’umiliazione di essere profughi. Non mi sogno di paragonare il gigantesco massacro della Shoah con le foibe, un avvenimento minore dell’odio degli uomini. Ma per ogni popolo la sua tragedia è La Tragedia.
 
Gli istriani erano semplicemente dei “fascisti”. Gli attivisti del Pci andavano alla stazione Centrale per insultare i profughi, i ferrovieri della Cgil si rifiutavano di manovrare i treni che li portavano dall’esilio. Era vietato perfino usare questa parola, esilio. Per decenni il Partito comunista è stato responsabile di un comportamento vergognoso, avallato dai partitini vassalli di allora, socialisti compresi.

E anche la Dc, perché gli istriani ricordavano ai governi italiani l’umiliazione degli accordi di Osimo: territorialmente non c’era alternativa, forse. Ma i profughi italiani – perché erano italiani, appassionati di esserlo più dei comunisti e dei democristiani che li umiliavano – furono abbandonati al loro destino. Ignorati.
 
Non crediate che sia tutto finito. Solo l’anno scorso il Presidente Napolitano ha potuto dire che si era “posto fine a ogni residua congiura del silenzio”. Solo nel 2011. Ma c’è ancora chi continua a percepirli come fascisti. Quest’anno Napolitano ha nobilmente parlato di “visione europea che permette di superare derive nazionalistiche”. Gli italiani d’Istria non hanno mai avuto pretese revansciste, hanno perfino smesso di tornare. Mia madre non è mai tornata: si è sempre rifiutata di farlo.
 
Sarebbe bello se riuscissi a trovare negli archivi un intervento di Giorgio Napolitano a un congresso del Pci di quarant’anni fa e scoprire che le nobili parole di oggi le diceva già allora. Ci voglio provare perché oggi noi italiani dobbiamo molto a Napolitano. Ma ai giuliano dalmati dite una sola volta una sola parola. Ufficialmente, a un leggio, con un microfono, i corazzieri, le telecamere che filmano e le agenzie che riportano. Perdonateci.
 
Cosa vuol dire essere figlio di una profuga? Niente di particolare. Non ho mai votato Pci e ho incominciato a farlo per i partiti suoi eredi solo quando hanno tolto dal simbolo la falce e il martello. Non ho voluto seguire le guerre balcaniche degli anni Novanta perché in qualche modo mi sembrava di essere parte in causa e non avrei fatto bene il mio mestiere. Guerre da raccontare altrove, non mi sono mancate.
 
Niente d’importante dunque, se non una piccola cosa. Quel velo di tristezza del quale mia madre non si è mai liberata.

Perché un profugo resta profugo finché vive e a casa non torna mai più.

Ugo Tramballi - Il Sole 24 ore - 9 febbraio 2012 - 18:48

mercoledì 8 febbraio 2012

Il Corriere arriva a Bergamo


«Una città piena di valori»
Sedici pagine, dalla cronaca allo sport. Via anche al sito


Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, aveva abbracciato con lo sguardo la platea del teatro Donizetti. Lì, dove stavano seduti i rappresentanti di tutta una terra e delle sue eccellenze. Era il 2 febbraio 2011 e Napolitano aveva parlato del «forte riconoscimento che merita, da parte di tutti gli italiani, la città di Bergamo, la complessiva realtà di quest'area.

Lo merita - aveva detto - la gente bergamasca, per quel che ha dato con laboriosità, dinamismo
imprenditoriale, dedizione operaia, allo sviluppo industriale, alla crescita economica e sociale dell'Italia». A un anno di distanza, nelle stesse sale, quelle parole sono risuonate di nuovo.
A citarle il presidente di Rcs Piergaetano Marchetti, spiegando che «il nostro gruppo editoriale ha deciso di essere qui, in una realtà importante, importantissima, come Napolitano ci ricorda». L'ha fatto rivolgendosi alla platea che ieri ha tenuto a battesimo il dorso di Bergamo del Corriere della Sera , in edicola da oggi.
Il debutto è avvenuto alla presenza dell'amministratore delegato di Rcs, Antonello Perricone, del direttore generale della divisione Quotidiani Giulio Lattanzi, e di molti esponenti del mondo politico, imprenditoriale e istituzionale orobico, dal prefetto Camillo Andreana al sindaco Franco Tentorio, al presidente di Confindustria-Bergamo Carlo Mazzoleni.Ferruccio De Bortoli (Fotogramma)
Esserci, partire da qui, ma anche imparare dalla Bergamasca. Il direttore Ferruccio de Bortoli ha parlato di «fiducia e orgoglio». «Oggi la fiducia è la materia prima che ci manca. Ma in Italia ci sono tante capitali. Capitali che devono convivere per segnare il futuro del Paese. Ecco: vogliamo imparare dalle comunità migliori, come Bergamo».
Raccontarla, osservarla, se necessario criticarla. «Ma sempre - ha aggiunto - con onestà, facendoci portatori dei suoi valori a livello nazionale e internazionale».
Aumenta la pluralità delle voci, come ha spiegato Fabio Finazzi, caporedattore del Corriere della Sera-Bergamo : «Sulla scena c'è un quotidiano locale, L'Eco di Bergamo , ben ancorato alla tradizione e che tuttavia esprime un giornalismo di largo respiro. Il Corriere arriva, credo, con il marchio riconosciuto del quotidiano europeo per cercare di cogliere in profondità anche il respiro dell'informazione locale.
Ci aspetta un confronto libero e reciprocamente stimolante». Ci sarà anche un sito internet dedicato ( bergamo.corriere.it ) «anche perché - è la conclusione - l'informazione locale è da sempre interattiva, il dialogo vivace con i lettori fa parte del suo Dna».

Il Corriere della Sera Bergamo sarà in edicola da mercoledì, con 16 pagine. L'edizione orobica rappresenta la nuova tappa della strategia adottata oltre tredici anni fa da Rcs Quotidiani con l'obiettivo di radicarsi sul territorio. Il riassunto lo fa ancora Marchetti: «Se non Bergamo, dove?».

Anna Gandolfi - Il Corriere della Sera - bergamo - 8 febbraio 2012

domenica 5 febbraio 2012

Brembate Sopra, Locatelli scioglie le riserve: si ricandida



Il sindaco leghista correrà con la stessa squadra: diamo continuità
Grandi manovre nella minoranza: pronti a scendere in campo

Il sindaco Diego Locatelli scioglie le riserve e annuncia ufficialmente la sua candidatura alle prossime elezioni. Come nella tornata precedente anche in questa si presenterà sotto il simbolo della Lega. E come cinque anni fa, la sfida dovrebbe essere con l'attuale gruppo di minoranza, che sta lavorando a una lista civica rinnovata.

La squadra di Locatelli dovrebbe essere grosso modo quella attuale con l'ingresso, forse, di qualche giovane. «Mi hanno chiesto di ricandidarmi per dare continuità al lavoro svolto in questi cinque anni – spiega –. Ho accettato e mi metto a disposizione con le persone con le quali ho lavorato finora.

Intendiamo portare avanti i progetti che l'anno scorso non sono partiti o sono stati rallentati dalla crisi. La squadra sarà composta dagli stessi collaboratori, solo qualcuno uscirà.
Non abbiamo necessità di inserire nuovi elementi in più: il Consiglio dovrà essere formato solo da dieci consiglieri più il sindaco e li abbiamo già».

Nel 2007 il 53,3% dei consensi
Diego Locatelli, 54 anni, sposato, padre di tre figli, impiegato tecnico in un'azienda della zona, in questi anni ha ricoperto anche la carica di presidente dell'assemblea dei sindaci del distretto socio-sanitario dell'Isola bergamasca e Bassa Val San Martino, carica che tuttora detiene. Era stato eletto nel maggio 2007 con il 53,3% dei consensi, subentrando allo storico sindaco Giacomo Rota, in carica dal 1992 al 2007.

«Voglio propormi alla cittadinanza con questa squadra affiatata per portare avanti le opere necessarie alla comunità – chiosa il sindaco –. Sappiamo le difficoltà economiche, ma riusciremo a farcela». In questi anni Locatelli ha continuato l'opera del suo predecessore, che l'ha affiancato fino all'inizio del 2011, quando ha deciso di candidarsi a sindaco di Ponte San Pietro.

Ha portato avanti opere quali la nuova piazza, le scuole medie e il teleriscaldamento e posto le basi per altre tra cui il centro per malati terminali e Alzheimer. E soprattutto durante il suo mandato ha dovuto gestire la prova più dura, la tragedia della scomparsa di Yara. Giorni pesanti, difficili, in cui c'è stato tanto da fare, per star vicino alla famiglia Gambirasio, a tutta la sua comunità e tenere a bada l'invadenza di certa stampa.

Grandi manovre
Intanto in questi mesi è al lavoro anche la minoranza di «Insieme verso il nuovo per Brembate Sopra». «Abbiamo costituito un gruppo con volti nuovi e ci vogliamo presentare come lista civica aperta a tutti coloro che vogliono mettersi in gioco – spiega Gennaro Esposito, ex candidato sindaco nel 2007, dove ottenne il 46,7% dei voti –. Stiamo già lavorando da mesi sul programma elettorale che abbiamo condiviso tutti. Il gruppo dei candidati c'è già, il programma idem, manca solo il candidato sindaco che a breve sceglieremo».

Giovanni Scioscia, attuale consigliere di minoranza di «Insieme verso il nuovo» precisa che la squadra è composta da elementi giovani e persone di esperienza: «È una buona squadra, espressione di cittadini che si vogliono impegnare per il proprio paese. Ora dobbiamo trovare il candidato sindaco».

Ufficialmente in paese non ci sono altre liste, anche se non mancano voci, che non hanno però avuto nessun riscontro, di un gruppo di centrodestra che sta formando una squadra.
Angelo Monzani - L'Eco di Bergamo - Domenica 05 Febbraio 2012 PROVINCIA, pagina 39