Poesia di Primo Levi
Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
Nelle
vostre tiepide case
Voi che
trovate tornando a sera
Il cibo
caldo e visi amici:
Considerate
se questo è un uomo,
Che lavora
nel fango
Che non
conosce pace
Che lotta
per mezzo pane
Che muore
per un sì o per un no.
Considerate
se questa è una donna,
Senza
capelli e senza nome
Senza più
forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Dei cinquanta milioni di morti nella seconda guerra mondiale,
sei milioni furono gli Ebrei sterminati nei campi di concentramento nazisti:
uomini e donne, vecchi e bambini di quasi ogni paese d' Europa trovarono la
morte nei «lager», dopo inaudite sofferenze e, pochissimi furono i
sopravvissuti. Primo Levi nell'introduzione al suo libro autobiografico Se
questo è un uomo (da cui è tratta anche la lirica qui presentata) afferma: «Per
mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che
il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito
di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili
miglioramenti nel tenore di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad
arbitrio dei singoli».
Levi,
dunque, ebreo e partigiano e perciò doppiamente inviso ai nazisti grazie alla
sua «fortuna riesce a sopravvivere all'incubo del «lager»; ma, perché questa
esperienza di totale disumanizzazione, di perdita di ogni dignità e identità
umana non debba mai più, per nessun individuo al mondo, ripetersi è necessario,
dice Levi che tutti sappiano che cosa ha significato essere prigioniero nei
lager nazisti e mai, mai lo dimentichino, pena le più terribili maledizioni.